Affidamento in house e Gestione rifiuti: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato. Gestione dei rifiuti, affidamento “in house”, società a totale partecipazione pubblica e i dubbi dei giudici sulla legislazione italiana ed europea. E’ una ordinanza molto importante quella che analizziamo oggi (la n. 7161/2020 del Consiglio di Stato pubblicata il 18 novembre 2020) e che, in realtà, non scioglie tutti i dubbi.
I motivi del ricorso
E’ un Comune ligure a proporre ricorso al Consiglio di Stato dopo la sentenza del Tar Liguria che aveva respinto in primo grado. Si parla di gestione rifiuti e di una società a totale partecipazione pubblica che, per conto di un gruppo di comuni liguri, gestiva vari servizi pubblici e tra questi, anche quello della gestione dei rifiuti. La società, però, entra in crisi e si aggrega con un’altra società, una “multiutility” a controllo pubblico quotata in Borsa. I comuni soci della prima società, dunque, trasferiscono le loro quote alla nuova società che ha potuto continuare a gestire i servizi affidati alla società entrata in crisi. Il Comune che ha proposto ricorso, però, con una delibera di consiglio comunale aveva espresso l’idea di non approvare l’aggregazione, pur formalizzandola qualche tempo dopo. Il comune ha provato ad affidare il servizio di gestione rifiuti “ad un soggetto terzo”. Ma sia la Provincia (che in Liguria ha la gestione dei rifiuti) che la nuova società, hanno ritenuto l’operazione illegittima, e fatto ricorso al Tar che gli ha dato ragione.
Affidamento in house
Il Tar ha spiegato che l’affidamento in house alla nuova società è legittimo per come si sono sviluppati i fatti. Il Comune, però, non ci sta e ha proposto il ricorso al Consiglio di Stato. Tra i motivi, la violazione della direttiva europea 2014/24/UE, visto che dell’originario affidamento in house del servizio, adesso non c’erano più i presupposti. Mentre sia per la Provincia che per la nuova società ci sono tutti i requisiti per l’affidamento, in quanto effettuato tramite gara e quindi non c’è nessun affidamento in house.
Cosa dice la normativa europea
Secondo la direttiva europea 2014/24/UE, un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Amministrazione aggiudicatrice e controllo
E allora quando un’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo su una persona giuridica? Specifica la direttiva europea 2014/24/UE: “Qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Il controllo congiunto
Le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando: gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; le amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti. Insomma la norma spiega i requisiti per disporre l’affidamento “in house”, ovvero affidamento diretto senza gara. In linea di principio il controllo analogo è escluso quando accanto ai soci pubblici, esista un socio privato, anche di minoranza, in quanto questi da un lato persegue logiche di profitto incompatibili con quella del controllo pubblico, dall’altro si ritroverebbe indebitamente favorito rispetto alle imprese concorrenti non socie. In ogni caso, spiega il Consiglio di Stato, “si desume il principio secondo il quale per mantenere il controllo analogo la struttura del capitale sociale dell’affidataria deve rimanere la medesima nel periodo di riferimento”. Il requisito non sussiste, “se quando l’affidamento è disposto il capitale è interamente in mano pubblica, ma in base allo statuto si può successivamente cedere, anche in parte, a privati”.
Cosa dice la normativa nazionale
L’originario affidamento in house disposto dal Comune si rifaceva al Testo Unico numero 267 del 2000, che dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse. I comuni devono procedere per mezzo di pubbliche gare e la possibilità di affidamento in house, soprattutto per quel che riguarda la gestione dei rifiuti urbani, esisteva già a quell’epoca, anche se né la direttiva 2014/24/UE né le norme nazionali di recepimento erano state ancora approvate. Attualmente, nell’ordinamento nazionale, il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani (articolo 200 del decreto legislativo numero 152 del 2006) è gestito dalle Regioni, che vi procedono individuando quelli che vengono chiamati gli “Ato”, gli ambiti territoriali ottimali ed hanno potestà legislativa integrativa al riguardo. Nel caso specifico, e quindi nella regione Liguria, gli Ato coincidono con le Province, le quali gestiscono il servizio per i Comuni che ne fanno parte, ed essendo a loro volta amministrazioni aggiudicatrici devono provvedere sempre per pubblica gara o per affidamenti in house nei casi consentiti. Quindi l’atto con cui la Provincia ligure ha disposto un affidamento in house senza che ne ricorrano i presupposti, sarebbe quindi illegittimo, ed è questa la tesi sostenuta dal Comune ricorrente appellante. Il Comune stesso avrebbe comunque interesse ad impugnarlo, come ha fatto, perché è suo interesse che il servizio nel proprio territorio sia gestito in modo legittimo. La possibilità per gli enti locali di affidare il servizio costituendo a tale scopo una società di capitali a partecipazione pubblica era pacificamente ammessa sulla base dei principi, dato che gli enti locali stessi sono nell’ordinamento nazionale persone giuridiche con piena capacità, e quindi titolari anche della capacità di costituire enti del tipo descritto.
Le partecipazioni sociali da parte di enti pubblici
Attualmente il fenomeno delle partecipazioni sociali da parte di enti pubblici è stato disciplinato dal legislatore nazionale, soprattutto per contenere la spesa pubblica, nel senso di imporne una riorganizzazione e quindi di limitarlo. Stiamo parlando della legge numero 190 del 2014 che prevede, tra le atre cose che gli enti locali svolgano “un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse” entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati, uno dei quali è la “aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Il caso analizzato rientra in questo specifico caso “e non è controverso – dice il Consiglio di Stato che essa fosse giustificata, dato che l’originaria società ha concluso un accordo di ristrutturazione del debito”. Quanto alle riorganizzazioni in esame, nel senso della continuità di gestione fra l’originario affidatario e il soggetto a lui subentrato, “non è poi controverso che il soggetto subentrato, sia stato selezionato all’esito di una pubblica gara – si legge nella sentenza – È fatto notorio che si tratti di una società quotata in Borsa e che quindi può avere come soci i privati che ritengano, senza particolari formalità, di acquistarne le azioni stesse”.
Le richieste alla Corte di giustizia europea
E’ la prima volta, dicono i Giudici, che il Consiglio di Stato tratta questo argomento. E per questo serve un rinvio alla Corte di Giustizia europea. Alla quale si chiede se la normativa europea (quindi l’articolo 12 della direttiva 2014/24/UE) osti alla normativa nazionale che impone un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, “a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui: il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato; l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara; a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta”. Per questi motivi i giudici hanno ritenuto, in attesa di maggiori informazione dalla Corte europea, di sospendere il giudizio.