Il Consiglio di Stato accoglie l’appello per l’annullamento dell’aggiudicazione, in ragione della mancanza dei requisiti tecnici richiesti per la fornitura in appalto.
Ma l’istanza di dichiarazione dell’inefficacia del contratto, con conseguente subentro della ricorrente nella rimanente parte di servizio ancora da espletare, non può invece essere accolta, poiché la parte appellata ha allegato, in corso di causa, che il contratto stipulato ha esaurito già da tempo la sua durata (pari 12 mesi) e non ne è stato disposto il rinnovo (pur previsto dalla disciplina di gara).
L’impresa appellante richiede il ristoro del danno sotto forma del “mancato utile derivante dalla illegittima pretermissione dalla commessa e dal danno curriculare, inteso come mancata corrispondente implementazione dei requisiti di qualificazione.
Nell’atto di appello, l’impresa ha sollecitato la quantificazione del mancato utile in applicazione del criterio normativo di cui all’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F, che lo fissa, in via presuntiva, nella misura del 10% dell’importo dell’offerta.
L’appellante ha altresì chiesto di essere ristorata del danno patito per essere stata impossibilitata a fare valere, in altre contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione della commessa, stimando tale voce di danno, in via di prima approssimazione, nella misura del 3% dell’importo dell’appalto ma riservandosi di meglio indicarla e quantificarla in corso di causa .
Di.Sa dice che l’unica voce di pregiudizio risarcibile risulta essere, pertanto, quella relativa alla perdita dell’utile. Si tratta di una lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., alla mancata esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.