Cessione dei crediti edilizi e frodi fiscali: nuova sentenza della Cassazione
Parlare del meccanismo di cessione dei crediti edilizi messo a punto con l’art. 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio) non è affar semplice, soprattutto a causa di posizioni di parte (da una parte e dall’altra) che rendono difficili analisi equilibrate.
Cessione dei crediti edilizi e frodi fiscali: nuova sentenza della Cassazione
Ancora più difficile è la lettura delle sentenze della Corte di Cassazione che, analizzate in maniera ancora più lucida, forniscono utilissime indicazioni su quel che è accaduto e sta ancora accadendo nel comparto dell’edilizia, vittima incolpevole e inconsapevole di una normativa scritta male e interpretata peggio dai principali attori coinvolti.
È in caso del nuovo intervento della Suprema Corte che con la sentenza 1 dicembre 2022, n. 45558 interviene accogliendo il ricorso di un pubblico ministero per l’annullamento di una ordinanza che aveva disposto il dissequestro di crediti di imposta maturati per interventi edilizi inesistenti e sui quali era seguita la cessione.
Le indicazioni fornite da questa sentenza, unitamente a quelle rese dalla Guardia di Finanza nel corso dell’audizione sulla discussione del disegno di legge di conversione del Decreto Legge n. 176/2022 (Decreto Aiuti-quater), dovrebbero però far comprendere alcuni utili precetti:
- il primo meccanismo di cessione dei crediti edilizi, disegnato dal Governo Conte II, non era esente da macroscopici errori;
- malgrado ciò, già prima della pubblicazione del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio) l’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF) aveva richiamato l’attenzione su alcuni fattori di rischio ed elementi sintomatici di possibili operatività illecite (Comunicazione del 16 aprile 2020);
- la stessa UIF aveva ulteriormente sollecitato gli operatori del settore finanziario e creditizio a svolgere una più penetrante attività di controllo e di vigilanza proprio con riferimento alla procedura di cessione del credito di imposta introdotto dal Decreto Rilancio (Comunicazione dell’11 febbraio 2021);
- con lo scoppio degli scandali sulle cessioni fraudolente dei crediti edilizi è nato il Decreto Legge n. 157/2021 (11 novembre 2021) che ha esteso i controlli (già previsti nel superbonus) a tutti i bonus edilizi utilizzati con il meccanismo delle opzioni alternative;
- a partire dal 2022 tutti gli operatori del settore finanziario e creditizio hanno cominciato a svolgere audit molto attenti prima dell’acquisto dei crediti.
Da questi insegnamenti è possibile cogliere tre diverse fasi del meccanismo di cessione:
- la prima (chiamiamola di start up) in cui alcuni cessionari non sono riusciti a cogliere le criticità di questo meccanismo, acquistando crediti senza l’opportuna accortezza;
- una seconda fase (di maturazione) in cui i controlli hanno cominciato ad essere più accurati;
- una terza ed ultima fase in cui a causa dell’esaurita capienza fiscale, delle problematiche sorte nella prima e della conseguente diffidenza di tutti gli operatori, il sistema ha deciso di chiudere a nuovi acquisti.
Le comunicazioni inviate alla Piattaforma Cessioni di AdE
Fatta questa opportuna premessa, è possibile passare in rassegna il nuovo intervento della Cassazione che, occorre precisare, riguarda la cessione di un credito inesistente.
Un primo importante appunto: come rilevato dal PM e confermato dalla Cassazione, le comunicazioni inviate alla Piattaforma per le cessioni dei crediti dell’Agenzia delle entrate non rappresentano né sostituiscono gli atti contrattuali di cessione del credito intervenuti tra le parti, che restano disciplinati dalle pertinenti disposizioni civilistiche, evidenziandosi come la comunicazione rappresenta lo strumento con cui un soggetto rende noto all’Agenzia delle Entrate di aver ceduto un credito di imposta e che la presenza di un credito sulla Piattaforma non implica in alcun caso il riconoscimento della sua esistenza e dell’effettiva spettanza della detrazione da cui lo stesso trae origine.
Importantissima considerazione che conduce verso l’ammissione che sul credito edilizio non ci sarebbe alcuna garanzia da parte dello Stato.
Tesi confermata dalla Cassazione in una parte della Sentenza in cui non accoglie la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione.
Una tesi non condivisa a seguito della quale il credito ceduto risulterebbe sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti.
Responsabilità solidale e disciplina penale
Secondo la Cassazione, anche a voler ammettere che il legislatore abbia voluto assegnare a queste disposizioni un ambito ulteriore rispetto a quello esclusivamente tributario, i commi 4, 5 e 6, art. 121 del Decreto Rilancio non introducono affatto una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Nel caso di specie, tra l’altro, rileverebbe anche l’eventuale responsabilità del terzo cessionario (tema sul quale tornerò alla fine).
La natura delle Circolari dell’Agenzia delle Entrate
La Cassazione torna sulla natura ed efficacia delle Circolari dell’Agenzia delle Entrate evidenziandone, proprio con riferimento a quelle interpretative in materia tributaria, la natura di atti meramente interni alla pubblica amministrazione che esprimono esclusivamente un parere dell’amministrazione medesima non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice.
Osservano i giudici che “la circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad essa uniforme, in piena coerenza con la regola che in un sistema tributario basato essenzialmente sull’auto tassazione, la soluzione delle questioni interpretative è affidata (almeno in una prima fase, quella, appunto, della determinazione dell’imposta da corrispondere) direttamente al contribuente. La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall’ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo “per violazione della circolare”: infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l’atto emanato sarà legittimo perché conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l’atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge. La circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata… La circolare non vincola, infine … il Giudice tributario (e, a maggior ragione, la Corte di Cassazione) dato che per l’annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall’amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l’ordinamento affida esclusivamente al Giudice il compito di interpretare la norma (del resto, al Giudice tributario è attribuita, nella materia tributaria, la giurisdizione esclusiva)“.
Nessuna deroga al sequestro
La Cassazione, come già affermato nelle sentenze di fine ottobre, ribadisce che il Decreto Rilancio non prevede alcuna disciplina derogatoria ai principi generali relativi al sequestro finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 321, comma 2, del Codice di Procedura Penale, differenti, tra le altre cose, a quelli del sequestro impeditivo previsti al precedente comma 1.
Inoltre, se l’attivazione della procedura di “recupero” consegue all’accertamento della mancata sussistenza dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, è conseguenza logica che se quel diritto alla detrazione non spettava al titolare, soggetto beneficiario, ove quest’ultimo abbia esercitato l’opzione di cedere quel credito, derivante, come detto, dal diritto alla detrazione, ovviamente quel credito, che deriva da un diritto di detrazione “non spettante”, ex lege può essere, secondo la normativa penale-tributaria, o “non spettante” (ricadendosi in caso di compensazione indebita, nell’ipotesi penalmente sanzionata meno gravemente dell’art. 10-quater, comma 1, d. Igs. n. 74 del 2000) oppure “inesistente” (ricadendosi in caso di compensazione indebita, nell’ipotesi penalmente sanzionata più gravemente dell’art. 10-quater, comma 2, d. Igs. n. 74 del 2000).
Credito non spettante e inesistente: differenze
In materia tributaria è necessario distinguere il credito d’imposta “non spettante” dal credito d’imposta “inesistente” perché le conseguenze fiscali sono diverse.
Per il credito d’imposta “non spettante”:
- l’Agenzia delle Entrate deve operare il recupero entro il termine di decadenza di cinque anni, sempre nei confronti del beneficiario, salvo il concorso da parte del cessionario;
- si applica la sanzione del 30%, che può essere ridotta ai sensi dell’art. 13 D.Igs. n. 471/1997;
- si applica l’interesse del 4% annuo (art. 20 DPR n. 602/73);
- ai fini penali, per il cessionario del credito che procede alla compensazione si applica l’art. 10-quater, primo comma, D.Igs. n. 74/2000 (da sei mesi a due anni per un importo annuo superiore ad C 50.000)
Per il credito d’imposta “inesistente”:
- l’Agenzia delle Entrate deve operare il recupero, a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo sempre nei confronti del beneficiario, salvo il concorso da parte del cessionario;
- si applica la sanzione dal 100% al 200% (art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471 cit.), che non ammette la definizione agevolata;
- si applica l’interesse del 4% annuo (art. 20 DPR n. 602/73);
- si iscrive a ruolo tutto, ai sensi dell’art. 15-bis DPR n. 602/73 (iscrizione nei ruoli straordinari);
- ai fini penali, per il cessionario del credito che procede alla compensazione, si applica l’art. 10-quater, secondo comma, D.Lgs. n. 74/2000 (da un anno e sei mesi a sei anni per un importo annuo superiore ad C 50.000).
La definizione di credito inesistente si desume dall’art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471/1997, come novellato nel 2015, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972. Devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito:
- deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);
- l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.
In sintesi, per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza”.
Concludendo, secondo gli ermellini nel caso in cui il credito è ottenuto fraudolentemente è sicuramente applicabile il comma 2 dell’art. 10-quater D.Igs. n. 74/2000. Pertanto, il cessionario che provveda a compensarlo, nonostante la consapevolezza dell’inesistenza del credito medesimo, si espone alla conseguente responsabilità penale.
La richiesta di dissequestro e le responsabilità penali del Cessionario
Ma la Cassazione non si ferma qui e rileva che alla luce del mutato presupposto giuridico che aveva indotto i giudici del riesame ad accogliere la richiesta di revoca del sequestro proposta dal cessionario, è opportuno domandarsi se si possa o meno confermare quello stato soggettivo di buona fede che aveva indotto i giudici del riesame a ritenere scevro da qualsiasi rimprovero il comportamento complessivo posto in essere da parte del cessionario.
Secondo la Cassazione, non può sottacersi il fatto che, nella disciplina del Decreto Rilancio, il cessionario dei crediti di imposta che provveda alla monetizzazione del credito al cedente, anzitutto consegue indubbiamente un vantaggio economico dalla cessione del credito di imposta. Ed infatti, i crediti vengono ceduti ad un valore inferiore rispetto al valore nominale, e ciò determina un indubbio utile in capo al cessionario, atteso che quest’ultimo “acquista” il credito di imposta, monetizzandolo al cedente, ad un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando così un utile sui singoli crediti acquistati.
Ed allora, proprio alla luce di tali considerazioni, è indubbio che la posizione del cessionario che lucra un vantaggio consistente dall’operazione di cessione, sia quella di un soggetto difficilmente qualificabile – agli effetti del sequestro e della successiva confisca – come persona “estranea al reato”, proprio perché il cessionario del credito di imposta trae vantaggio dall’altrui attività criminosa, dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato.
Sul punto la Cassazione richiama (come anticipato in premessa) due comunicazioni dell’UIF:
- del 16 aprile 2020 in cui viene richiamata l’attenzione su alcuni fattori di rischio ed elementi sintomatici di possibili operatività illecite venuti in evidenza nel corso della pandemia, anche grazie al confronto tra istituzioni nazionali e nell’ambito di organismi internazionali;
- dell’11 febbraio 2021 (antecedente ai fatti oggetto del giudizio), in cui aveva ulteriormente sollecitato gli operatori del settore finanziario e creditizio a svolgere una più penetrante attività di controllo e di vigilanza proprio con riferimento alla procedura di cessione del credito di imposta introdotto dal Decreto rilancio.
Secondo la Cassazione sarebbe innegabile che l’UIF della Banca d’Italia avesse messo in guardia gli operatori del settore finanziario e creditizio verso possibili fenomeni fraudolenti collegati alla cessione dei crediti di imposta secondo la procedura del Decreto Rilancio, fornendo puntuali istruzioni operative in materia, segnatamente delineando le anomalie più ricorrenti e significative dal punto di vista del profilo soggettivo dei cedenti e/o cessionari dei crediti e da quello oggettivo dei comportamenti rilevati, anomalie la gran parte delle quali rilevate nella vicenda oggetto di esame nel presente procedimento, per come descritta nella stessa ordinanza impugnata.
Alla luce di queste considerazioni, secondo la Cassazione, il giudice del rinvio dovrà risolvere la questione relativa al mantenimento o meno del vincolo reale, atteso che la restituzione del bene potrà avvenire solo laddove gli elementi di conoscenza disponibili portino alla qualificazione della sua posizione in termini di “persona estranea” al reato, ossia una condizione di effettiva “distanza” dalla condotta illecita, con possibile rilievo anche di atteggiamenti antidoverosi di tipo colposo, dovendosi ulteriormente richiamare, a sostegno di tale assunto, quanto già affermato secondo cui è persona estranea al reato – nei cui confronti non può essere disposta la confisca, ai sensi dell’art. 240 c.p., commi 2 e 3 – il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l’utilizzo del bene per fini illeciti.