CONTRATTO COLLETTIVO (CCNL) APPLICABILE E VERIFICA DELLA DICHIARAZIONE DI EQUIVALENZA NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: CRITERI INTERPRETATIVI ED APPLICAZIONE CONCRETA NELLE PIÙ RECENTI SENTENZE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO

Il focus propone una rassegna ragionata delle principali sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) riguardo il “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore” introdotto con l’art. 11 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 36/2023).

Dalla ricerca emerge come il Giudice Amministrativo abbia già iniziato a rispondere agli interrogativi circa l’applicabilità o meno e a quali condizioni da parte dell’operatore economico di un contratto collettivo diverso da quello stabilito dalla Stazione Appaltante negli atti di gara. Sono state, inoltre, fornite le prime indicazioni su come poter valutare l’“equivalenza” tra diversi CCNL dichiarata dagli operatori economici: valutazione rimessa all’amministrazione appaltante ma non semplice nella pratica, soprattutto nei casi in cui siano individuabili più contratti collettivi molto diversi tra loro, con caratteristiche e standard di tutela differenti.

Il percorso giurisprudenziale rappresenta, quindi, un utilissimo strumento per comprendere i risvolti applicativi dell’art. 11 del d.lgs. 36/2023.

1. L’applicazione di un determinato CCNL non può essere imposta agli operatori economici.

L’art. 11, comma 2, del d.lgs. 36/2023 prevede l’obbligo per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di indicare negli atti di gara il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione.

Tuttavia, come riconosciuto dalla giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18.12.2023 n.10886), restano consolidati i principi secondo cui:

– l’applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis di gara alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione;

– l’applicazione di altro CCNL da parte dell’impresa non può essere a priori sanzionata dalla Stazione Appaltante con l’esclusione.

Pertanto, anche per le gare disciplinate dal nuovo Codice Appalti, pur dovendolo indicare negli atti di gara ai sensi dell’art. 11, comma 2, l’amministrazione appaltante non potrà esigere dagli operatori economici, ai fini della partecipazione alla gara, l’applicazione di un determinato CCNL, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto dell’appalto da affidare.

2. Omessa indicazione del CCNL nella lex specialis: possibilità per gli operatori economici di formulare offerte.

Nonostante l’obbligo, ora codificato, per le stazioni appaltanti di indicare negli atti di gara il CCNL, la mancata indicazione nella lex specialis del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato è stata ritenuta dal TAR Catania non preclusiva tout court della possibilità per gli operatori di formulare un’offerta adeguata. Secondo il Collegio ciò si ricava, in primo luogo, dalla previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 11, secondo cui: “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”, nonché dal successivo comma 3 che, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, consente comunque agli operatori economici – anche nel caso di individuazione da parte della Stazione Appaltante di uno specifico CCNL – di indicare il differente contratto che essi applicano, a condizione che questo assicuri un certo standard di tutela. Ne discende – ad avviso del TAR – che la contestata omissione non preclude la formulazione di un’offerta demandando all’impresa partecipante la facoltà d’indicare un diverso contratto. Da qui la conclusione che, nonostante il chiaro disposto dell’art. 11, comma 2, l’omessa indicazione del CCNL negli atti di gara non costituisce una clausola immediatamente escludente tale da consentire l’impugnativa immediata da parte dell’operatore economico, potendo pur sempre quest’ultimo individuare, sulla base delle suddette indicazioni, il contratto applicabile di riferimento o comunque altro ritenuto equivalente (cfr. TAR Catania, 06.06.2024 n. 2137).

3. La verifica del rispetto dei minimi salariali è sempre obbligatoria.

Nella sentenza TAR Napoli, 07.11.2023 n. 6128, il Giudice Amministrativo ha riscontrato la violazione, da parte della Stazione Appaltante, degli artt. 11, 41, 108 e 110 del d.lgs. 36/2023, non avendo quest’ultima sottoposto l’offerta dell’aggiudicataria al necessario controllo finalizzato a verificare il rispetto dei minimi salariali alla luce dell’indicato costo della manodopera.

In forza del combinato disposto degli artt. 108 comma 9 e 110 comma 5 lett. d) del d.lgs. 36/2023, prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi.

Ad avviso del TAR, tale accertamento (che non dà luogo ad un sub-procedimento di verifica di anomalia dell’intera offerta, ma mira esclusivamente a controllare il rispetto del salario minimo) è sempre obbligatorio. Diversamente, infatti, potrebbe essere compromesso il diritto dei lavoratori alla retribuzione minima, tutelato dall’art. 36 Cost..

In altri termini, la Stazione Appaltante ha l’obbligo di procedere, prima dell’aggiudicazione, sempre e comunque, a prescindere dalla valutazione di anomalia dell’offerta, alla verifica della congruità del costo della manodopera rispetto ai minimi salariali retributivi.

In applicazione dei suddetti principi, la Stazione Appaltante non può quindi disporre l’aggiudicazione del contratto omettendo l’indefettibile verifica sopra indicata, in particolar modo in presenza di un servizio “ad alta intensità di manodopera”.

4. La valutazione della “equivalenza” del CCNL applicato dall’impresa.

La dichiarazione di equivalenza resa dall’impresa, ai sensi dell’art. 11 comma 4 del Dlgs. n. 36/2023, tra le tutele del CCNL indicato dall’operatore economico e quelle dei CCNL riportati nel disciplinare di gara, deve essere verificata in termini sia giuridici che economici dalla Stazione Appaltante nel corso della verifica di congruità dell’offerta.

In base all’art. 11, commi 3 e 4, del Dlgs. n. 36/2023, il ribasso inserito dall’impresa nell’offerta non può essere ottenuto in danno dei lavoratori mediante l’applicazione di un CCNL che comporti minori tutele economiche e normative.

Come chiarito dal Giudice Amministrativo (cfr. TAR Brescia, ordinanza 12.03.2024 n. 89), la suddetta norma determina certamente una limitazione della libertà di organizzazione aziendale, ma non può essere interpretata in senso eccessivamente restrittivo, in quanto occorre evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza e al principio di massima partecipazione. È stato ritenuto, pertanto, che un’impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva (giuridica ed economica), il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia deteriore rispetto a quello dei CCNL individuati dalla Stazione Appaltante, e vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto.

Ai fini della suddetta verifica non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico. Del resto, anche i contratti collettivi indicati dalla Stazione Appaltante nel disciplinare di gara possono contenere significative differenze di retribuzione per medesimi livelli di inquadramento.

Inoltre, se l’offerente dichiara di applicare diversi CCNL ai lavoratori impiegati nell’appalto, la Stazione Appaltante dovrà svolgere valutazioni separate per ciascuno dei contratti collettivi indicati dall’impresa, in modo da poter stabilire se i suddetti contratti garantiscono tutele normative confrontabili con quelle dei CCNL indicati nel disciplinare di gara.

5. Nuovo CCNL e (ri)verifica di anomalia dell’offerta.

La verifica di anomalia eseguita dalla Stazione Appaltante deve tener necessariamente conto anche delle voci di costo ragionevolmente attendibili in sede esecutiva. Tra queste, come chiarito dal Giudice Amministrativo, rientrano anche le variazioni retributive ascrivibili all’adozione di un nuovo CCNL, ancorché sopraggiunto alle offerte e diverso da quello tenuto in considerazione dall’amministrazione ai fini del calcolo iniziale del costo della manodopera.

Al riguardo, la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha precisato che “la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, per un verso comporta la sua applicazione al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto; per altro verso, impone alla Stazione Appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi”. Ciò in quanto “si tratt[a] di valutare la tenuta economica dell’offerta, nel tempo dell’esecuzione del contratto, con riguardo al costo del personale impiegato. Il cui aumento, derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non dovrebbe essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l’imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell’offerta presentata in gara”; mentre è “irrilevante la circostanza che per il calcolo progettuale del costo del lavoro la Stazione Appaltante abbia fatto riferimento ai parametri [di altro precedente] CCNL […], poiché […]a verifica di congruità si proietta anche sulla fase di esecuzione del contratto (mentre i dati utilizzati per la predisposizione del bando di gara e per il calcolo dell’importo a base di gara hanno il solo scopo di effettuare una stima minima del costo del lavoro del contratto da affidare)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 07.07.2023 n. 6652).

In applicazione dei suddetti principi, la Stazione Appaltante è tenuta quindi a considerare, in sede di (ri)verifica di anomalia, anche gli incrementi retributivi previsti dal nuovo CCNL adottato dopo la presentazione delle offerte da parte dei partecipanti alla gara (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 15.01.2024 n. 453).

6. CCNL sopravvenuto e principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale.

Tuttavia, come chiarito dal TAR Napoli, 13.06.2024 n. 3735 la suddetta esigenza di attualizzare la verifica di congruità dell’offerta attiene alle sole sopravvenienze di fatto e di diritto che intervengano nel corso del procedimento amministrativo e prima dell’aggiudicazione, mirando la loro doverosa considerazione a preservare la garanzia di affidabilità dell’offerta nel corso della sua esecuzione; viceversa, è del tutto eccezionale la possibilità di incidere sull’assetto degli interessi dopo l’aggiudicazione.

Nel caso di specie veniva in rilievo l’obbligo per la Stazione Appaltante di sottoporre l’offerta della aggiudicataria ad una rinnovata verifica di anomalia per appurarne la sostenibilità economica, specialmente per ciò che concerne il rispetto dei minimi salariali inderogabili, essendo stato, dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione (inizialmente annullato), approvato il nuovo C.C.N.L. del settore di riferimento, con il previsto incremento del costo orario della manodopera.

Il TAR Campano ha risposto che nell’ipotesi di reviviscenza dell’originaria aggiudicazione, a seguito di contenzioso (senza che occorra rinnovare l’iter amministrativo), il giudicato non lascia spazio a nuovi interventi della Stazione Appaltante, la quale è tenuta a ripristinare la situazione anteriore (aggiudicazione precedentemente disposta), intangibile alle ipotetiche nuove questioni sempre prospettabili, producendo altrimenti la conseguenza di rendere costantemente indeterminabile l’attività amministrativa e permanentemente instabile la sorte della gara. In questi casi, non vi è quindi alcun obbligo per la Stazione Appaltante di rinnovare la verifica di anomalia, già svolta e conclusasi positivamente nei confronti dell’aggiudicataria, che può legittimamente pretendere di stipulare il contratto e avviare il servizio. Inoltre, anche dal punto di vista dell’interesse pubblico generale, secondo il TAR Napoli, contraddice il principio di buon andamento dell’Amministrazione la prefigurazione di un perdurante obbligo di rinnovare le fasi della gara, nell’ipotesi in cui  vi sia l’obbligo di conformarsi alla sentenza e risulti prevalente la necessità di concludere il procedimento, che ha vissuto una fase di stasi per il corso dell’iter giudiziario. In tale ottica, la preoccupazione in ordine all’insostenibilità dell’offerta non ha ragion d’essere, essendo i nuovi livelli retributivi “sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare” (Cons. Stato, n. 6652/2023, cit.).

Da ciò discende che, da un canto, occorrerà assicurare l’adeguamento dei livelli retributivi e, d’altro canto, la censurata mancanza non si riverbera in vizio dell’aggiudicazione.

Va premesso che all’adeguamento si sarebbe dovuto far fronte anche qualora il procedimento amministrativo non avesse subito la stasi prodotta dal contenzioso instaurato e, avviato il rapporto sulla base dei costi della manodopera stimati, si fosse posto l’obbligo di applicare i nuovi livelli salariali.

Questo aspetto concerne il tema del riequilibrio del contratto di appalto, che trova corrispondenza nelle previsioni del codice che consentono la modifica dei corrispettivi.

In particolare, già l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 stabiliva che i contratti di appalto possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, ove la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste o imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice, tra le quali “la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti” (co. 1, lett. c), n. 2). È da ritenersi che in quest’ambito vi debbano rientrare i contratti collettivi nazionali di lavoro, in ragione della loro inderogabilità e per la natura che rivestono (dall’art. 2 del d.lgs. n. 40/2006 che, modificando l’art. 360 c.p.c., ammette al n. 3 il ricorso per cassazione per violazione di norme dei contratti accordi collettivi nazionali di lavoro, la dottrina giuslavoristica ne ha finanche desunto la riconducibilità alle fonti di diritto).

In conclusione, la questione prospettata con il ricorso rientra tra i rimedi manutentivi del contratto, di tal che non può essere predicata l’illegittimità dell’aggiudicazione. Per inciso, va osservato che il riequilibrio contrattuale costituisce oggi principio espressamente affermato nel nuovo codice dei contratti pubblici (art. 9 del d.lgs. n. 36/2023).

 

sentenzeappalti.it

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