Le stazioni appaltanti, in forza del combinato disposto degli artt. 108, comma 9, e 110, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 36/2023, prima dell’aggiudicazione devono sempre verificare il rispetto dei minimi salariali retributivi.

Le stazioni appaltanti, in forza del combinato disposto degli artt. 108, comma 9, e 110, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 36/2023 (al pari di quanto stabilivano gli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 50/2016), prima dell’aggiudicazione sono tenute a verificare, in ogni caso, che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi.

La sentenza del Tar Campania merita segnalazione in quanto si pone in antitesi al Tar Toscana ( vedi https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/lart-108-del-nuovo-codice-non-reca-piu-la-necessita-generalizzata-di-procedere-alla-verifica-dufficio-dei-costi-della-manodopera-come-invece-riportato-allart-95-comma-10/).

Questo quanto stabilito da Tar Campania, Napoli, Sez. V, 24/07/2024, n. 4362:

5. Il ricorso è fondato e va accolto, cogliendo nel segno, con valore assorbente, la prospettazione di parte in ordine alla violazione del principio di immodificabilità dell’offerta in sede di verifica del costo del lavoro oltre che del principio di parità di trattamento tra operatori economici, sottese ad un’istruttoria affatto carente e superficiale condotta dalla S.A.

5.1 A tale riguardo, va rilevato che il d.lgs. n. 36 del 2023 si allinea pienamente al d.lgs. n. 50 del 2016 nell’assicurare una tutela rafforzata degli interessi dei lavoratori, richiedendo agli operatori economici di indicare separatamente il costo della manodopera e gli oneri di sicurezza, sulla base di una seria valutazione preventiva di tali costi, da svolgere previamente alla formulazione del proprio ribasso complessivo. In particolare, l’articolo 11 del d.lgs. n. 36/2023, inserito nel Titolo I del Codice dedicato ai “Principi generali”, ribadisce l’importanza di una piena promozione delle tutele normative ed economiche dei lavoratori, che si declina, nella sua attuazione pratica, nella necessità di assicurare trasparenza e chiarezza nella indicazione dei costi del lavoro, al fine di evitare la presentazione di offerte anormalmente basse che potrebbero compromettere, al contempo, la qualità del servizio e la tutela dei diritti dei lavoratori.

Dal canto loro, le stazioni appaltanti, in forza del combinato disposto degli artt. 108, comma 9, e 110, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 36/2023 (al pari di quanto stabilivano gli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 50/2016), prima dell’aggiudicazione sono tenute a verificare, in ogni caso, che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi.

L’analisi sui costi per la manodopera indicati in gara, invero, è strumentale non solo all’accertamento circa la capacità dell’impresa di stimare correttamente la presumibile spesa per questo specifico fattore di produzione, ma anche la sua capacità di assolvere agli obblighi retributivi e contributivi durante il rapporto contrattuale. Ed infatti, un importo incongruo può essere l’indice di un’analisi errata, ma anche il segnale di un potenziale rischio di non correttezza in fase esecutiva (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 23 agosto 2022, n. 5476).

Di qui il precetto di immodificabilità del costo del lavoro indicato in sede di offerta, la cui indicazione separata, prescritta a pena di esclusione dall’art. 108, comma 9, d.lgs. n. 36 del 2023, è volta al precipuo scopo della verifica preliminare del rispetto delle condizioni di lavoro, oltre che costituire elemento da cui desumere eventualmente la serietà e sostenibilità dell’offerta ai sensi dell’art. 110, comma 1 del Codice appalti.

Difatti, tale accertamento (che non dà luogo a un sub-procedimento di verifica di anomalia dell’intera offerta, ma mira esclusivamente a controllare il rispetto del salario minimo: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 11 novembre 2022, n. 14776) è sempre obbligatorio, anche nei casi, quale quello in esame, di gara al massimo ribasso. Diversamente, infatti, potrebbe essere compromesso il diritto dei lavoratori alla retribuzione minima, tutelato dall’art. 36 Cost. (in argomento cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 21 dicembre 2020, n. 1994; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 1° giugno 2020, n. 978; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 16 marzo 2020, n. 329; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 26 marzo 2018, n. 608).

Ciò implica che le spiegazioni fornite dall’operatore economico alla stazione appaltante devono essere in grado di giustificare in maniera chiara ed esaustiva il livello dei costi del lavoro alla base della formulata proposta progettuale, a garanzia della sua congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità, sotto pena, in mancanza, dell’esclusione dell’offerta che non sia, o non dimostri di essere, in grado di assicurare il rispetto di tali garanzie minime, costituendo la certazione della congruità del costo della manodopera rispetto ai minimi salariali retributivi una condizione indefettibile del provvedimento di aggiudicazione (cfr., da ultimo, Tar Campania, Napoli, Sez. V, n. 6128/23, cit.).

Inoltre, va anche rilevato, con riferimento al connesso tema della realizzazione delle commesse con l’utilizzo del lavoro svolto dai soci lavoratori, che rileva nel caso di specie, che la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la Stazione appaltante, nell’ambito delle preliminari verifiche svolte in vista dell’aggiudicazione, deve verificare in maniera puntuale e approfondita la plausibilità e verosimiglianza delle giustificazioni addotte in merito al dichiarato apporto del socio d’opera, onde scongiurare che tale elemento non costituisca piuttosto una modalità elusiva delle norme che impongono il rispetto dei diritti dei lavoratori, nonché delle regole concorrenziali e dei principi di sostenibilità e attendibilità dell’offerta resa in sede di gara pubblica (cfr. TAR Lombardia – Milano, Sentenza n. 2567/2022; T.A.R. Lazio, Roma, II, 24 maggio 2022, n. 6688; anche T.A.R. Campania, Salerno, I, 20 novembre 2019, n. 2040).

Difatti, laddove i costi del lavoro dei titolari e dei soci lavoratori non siano adeguatamente riflessi fin dalla proposta economica ab origine formulata, ne possono derivare distorsioni nella concorrenza, con compromissione dell’integrità delle procedure di gara, sicché le Stazioni appaltanti sono in tal caso tenute a verificare in maniera puntuale se l’utilizzo delle prestazioni del socio d’opera nell’esecuzione dell’appalto non rappresenti piuttosto una modalità elusiva delle norme che impongono il rispetto dei minimi salariali nonché delle regole concorrenziali e i principi di sostenibilità e attendibilità dell’offerta.

Al riguardo, si è in particolare affermato che “La riduzione del costo del lavoro che taluni soggetti, come nella specie, possono procurarsi, anche mediante la rinuncia al trattamento economico che loro spetterebbe in base alla contrattazione collettiva, non può e non deve essere tenuta in considerazione ai fini della valutazione della congruità dell’offerta economica presentata da tali soggetti e/o del costo del lavoro: ciò in ragione del fatto che si determina a favore di essi un vantaggio che deve considerarsi lesivo della parità di trattamento tra operatori economici nella misura in cui non è espressione di uno ‘sforzo imprenditoriale’ e, quindi, di una ‘sana competizione’. Ne consegue che le Stazioni appaltanti devono determinare il costo del lavoro esposto dall’operatore economico, per l’attività prestata dai soci lavoratori, in applicazione integrale dei diritti riconosciuti dalla contrattazione collettiva di riferimento, e ciò al fine di ristabilire il corretto confronto concorrenziale rispetto agli altri operatori partecipanti alla gara, e quindi valutare l’effettivo costo del lavoro che si deve sostenere per far fronte all’esecuzione del contratto” (Cons. Stato, Sez. V, n. 6424 del 3 luglio 2023; in termini cfr. anche Cons. Stato n. 84/2015; T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 18 novembre 2022, n. 2567; Tar Piemonte, sez. I, 20 marzo 2018, n. 327).

 

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