L’equo compenso trova riconoscimento in tribunale, per di più, per un incarico svolto per la Pubblica amministrazione e non a titolo gratuito, ma che prevedeva un emolumento per il professionista, quindi per la violazione di parametri ministeriali.
La norma, introdotta con la legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017), prevedeva come il compenso del professionista debba essere commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro, nonché alle caratteristiche della prestazione e conforme ai parametri ministeriali. L’obbligo è in capo ai cosiddetti «clienti forti» (banche, assicurazioni, grandi imprese e Pubblica amministrazione). In questi tre anni, però, la norma ha vissuto diverse peripezie.
Di.Sa ricorda alcuni casi dove la stessa Pa ha pubblicato bandi che non prevedevano la corresponsione di un compenso, in altre occasioni, sono state delle sentenze di tribunale a contestare l’applicazione della norma; in precedenza, il Consiglio di stato aveva accolto l’appello del comune di Catanzaro che aveva pubblicato un avviso per la definizione del piano regolatore con un compenso simbolico di un euro. Dunque, la sentenza pubblicata ieri riconosce per la prima volta il rispetto della norma dal punto di vista dell’applicazione dei parametri, in una sorta di ridefinizione dei minimi tariffari aboliti dalle famigerate «lenzuolate» di Bersani.